di Ilaria Gatti
“Perché tanto parlarne? La materia è avvincente, da spy-story, e apre uno squarcio sull’ingordigia e la malvagità umane. Dietro le razzie si celano, ferite, dolore, sopraffazione, morte, torti subiti. – Stefano Milani – citazione”
Da un libro sulla storia del bombardamento del monastero di Montecassino [ref.12] da parte degli Alleati si scopre come il capitano Becker, medico della divisione Goring, si adoperò affinché le opere situate all’interno del monastero sopravvivessero alle battaglie e riuscì a spedirle quasi tutte in Vaticano. Questa lettura mi ha portato a approfondire l’argomento. Saltano fuori l’inseguimento di Siviero ai tesori italiani scomparsi e gli studi di Robert Edsel sulla storia dei Monuments Men, o uomini della sezione Monumenti. Ne risulta una storia nella storia, quella di uomini come Goring e altri ufficiali nazisti – Hitler in primis – che rubavano le opere d’arte e quella di semplici conservatori e direttori museali che lasciarono la patria – Inghilterra o America – per recuperarle e riconsegnarle ai loro legittimi proprietari. La Seconda Guerra Mondiale è stata una vera e propria guerra per l’arte.
L’arte nella Germania Nazista
Con il Nazismo l’arte diventa principalmente un mezzo di propaganda e quindi deve veicolare valori e canoni estetici tradizionali e stereotipati, deve esaltare la figura di Hitler che qui [3] vediamo ritratto come lo “scultore della Germania”, deve invitare a seguire le direttive del Partito [4], e soprattutto deve esaltare l’orgoglio ariano inteso come sentimento di superiorità razziale. Di co nseguenza deve denigrare le razze “inferiori” ed in particolare quella ebraica [5].
Il poster (1936) mostra una folla di persone radunate attorno a una radio le cui dimensioni simboleggiano allo stesso tempo l’attrazione delle masse verso la radio e la vasta audience delle trasmissioni naziste
Ma quali sono le caratteristiche dell’arte promossa dal Nazismo? Essa risente senz’altro della concezione che Hitler stesso aveva dell’arte.
Hitler infatti era un abile disegnatore ed un amante dell’architettura. Nel 1907 Hitler tenta di entrare all’Accademia di Belle Arti di Vienna, ma la sua richiesta viene rifiutata. Nonostante ciò, il disegno e la pittura rimangono delle costanti nella sua vita e da questi disegni/acquerelli nelle illustrazioni da [6] a [11] possiamo notare che Hitler non si lascia influenzare dalle avanguardie che si sviluppano all’inizio del Ventesimo secolo, che anzi vengono distrutte [12] con dei falò in piazza o derise dal Partito Nazista tramite apposite mostre [12a] – come quella alla Casa dell’Arte tedesca nel 1937. Vengono bruciati oltre 70.000 libri e pubblicazioni varie. Sono destinate a bruciare anche molte opere di pittori moderni, requisite dai muri dei musei e dalle collezioni private a partire dal 1937.
Hitler vuole rendere la Germania il più grande polo artistico europeo. Per questo egli progetta la ristrutturazione di Linz, sua città natale, e l’importazione – più o meno legale – di numerose opere in Germania. La visita a Firenze nel 1938 è di grande ispirazione per il piano di ristrutturazione di Linz, la quale deve diventare il nuovo centro culturale dell’Europa. Per questo motivo il 26 giugno 1939 Hitler incarica Hans Posse di costruirvi un nuovo museo d’arte: il Fuhrer Museum [13a] e [13b] – progetto intorno al quale si sviluppa un piano urbanistico che riguarda l’intera città [14].
Già dagli anni Venti, il Partito di adoperava alla confisca di varie opere. Queste e tutte le opere confiscate in seguito vengono destinate all’allestimento del Fuhrer Museum. Le opere tedesche provengono maggiormente da collezionisti privati di origine ebrea [15].
Costoro si ritrovano, nel corso degli anni, prima obbligati a denunciare tutti i beni in loro possesso di valore superiore a 5.000 marchi, per poi vederli confiscati e donati ad ariani o, appunto, al Partito e ad ufficiali nazisti. Questa politica di confisca viene messa in atto nei Paesi conquistati. Vengono inoltre confiscate le opere nei musei, come ad esempio la collezione Czartoryski, dell’omonimo museo polacco (1939), o le opere del Louvre a Parigi.
Caso particolare è quello dell’Italia, in cui l’espropriazione delle opere inizia per mano di Mussolini stesso. Andando contro alla legislazione in materia di tutela del patrimonio artistico, Mussolini ed il ministro degli esteri Galeazzo Ciano vendono al governo nazista varie opere – fra cui il Discobolo Lancellotti su cui vigeva il divieto di esportazione. Il Discobolo Lancellotti parte per la Germania nel 1938 e torna in patria solo nel 1948 grazie a Rodolfo Siviero.
LA TUTELA DEI BENI ARTISTICI
Il primo intervento di tutela dei beni artistici avviene a Leptis Magna [18a, 18b] – un centro archeologico situato a un centinaio di km dalla capitale libica – per opera degli inglese all’inizio del 1943: il tenente colonnello sir Robert Eric Mortimer Wheeler [19a], aiutato dal tenente colonnello John Bryan Ward-Perkins [19b], (entrambi dell’artiglieria reale inglese), riesce a mettere a punto un piano di conservazione e tutela dei siti archeologici presenti in Libia. I due fanno inoltre in modo che le truppe possano entrare nei siti archeologici e nei musei, ritenendo che truppe informate siano più rispettose e disciplinate e creino quindi meno danni.
A Leptis Magna gli Inglese erano riusciti a mettere in pratica ciò che gli americani teorizzavano da tempo. Infatti esattamente dal dicembre 1941, [20] George Stout – conservatore al Fogg Art Museum di Harvard– affermava la necessità della creazione di un reparto speciale per la tutela dei beni culturali nelle zone di conflitto. Nonostante tutti suoi sforzi a proposito e nonostante l’impegno messo nell’anno successivo per formare nuovi conservatori, il reparto speciale rimane un suo sogno nel cassetto.
Quando, poco dopo l’esperienza di Leptis Magna, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna prendono la decisione di invadere l’Europa passando dalla Sicilia, i due eserciti devono essere integrati e il programma di conservazione del sito archeologico diventa così una responsabilità degli Alleati [21]. L’Esercito Alleato richiede pertanto la presenza di un esperto americano e un esperto britannico in Sicilia e Roosevelt in persona nomina [22] Mason Hammond “consigliere per le Belle arti e i monumenti”.
Hammond giunge in Sicilia circa tre settimane dopo lo sbarco. Il suo corrispondente inglese, il capitano Frederick H.J. Maxse arriva addirittura ai primi di settembre. A Palermo si rende conto dell’immensità della missione che gli è stata affidata: la città di Palermo è stata bombardata per creare un diversivo allo sbarco e molti edifici hanno subito gravi danni: il porto, le chiese, la biblioteca nazionale, gli archivi pubblici, l’orto botanico. L’Esercito non gli fornisce i mezzi necessari per svolgere i lavori di recupero e ricostruzione, che diventano quindi possibili con metodi che Maxse stesso definisce “talmente poco ortodossi da non poter essere fissati nero su bianco” e che si avvalgono nella maggior parte dei casi della collaborazione di gente del luogo. Nonostante le difficoltà, il merito di Hammond è quello di aver fatto da apripista alla MFAA (Monuments, Fine Arts and Archives) o, in italiano, la sezione Monumenti.
La MFAA nasce ufficialmente il 21 agosto 1943. Mason Hammond diventa così il primo Monuments Man in servizio.
La missione della sezione Monumenti in Italia continua – coordinata dal tenente colonnello Ernest Theodore DeWald – per tutta la durata della guerra e va di pari passo [23 a] con quella iniziata il 6 giugno 1944 con lo sbarco in Normandia in Nord Europa – coordinata da George Stout. Il numero dei Monuments Men e Women aumenta sempre più. La MFAA rimarrà operativa fino al 1951 e alla fine conterà 350 membri.
Robert Edsel ha ricomposto la storia della MFAA con numerose ricerche a partire dagli anni Novanta e nel definire il lavoro di questa sezione dell’esercito afferma:
“Per la prima volta nella storia un esercito affrontò un conflitto tentando di mitigare i danni al patrimonio culturale nelle zone di combattimento. E gli uomini sul campo svolsero questo incarico senza trasporti adeguati, rifornimenti, personale o precedenti storici”
Nonostante non avessero i mezzi adeguati per svolgere la loro missione, i Monuments Men non si tirarono indietro, effettuarono dei recuperi straordinari ed avviarono dei restauri che in certi casi finirono addirittura molti anni dopo la fine della guerra.
RECUPERI o CONTRIBUTI FONDAMENTALI
La maggior parte delle opere trasportabili era stata portata in Vaticano ad opera dei soprintendenti, ad eccezione di quelle fiorentine. Poggi decise di nasconderle in ville e castelli nei dintorni della città, come ad esempio il Castello di Montegufoni. Alcune opere vennero comunque trafugate dai nazisti e nascoste in Alto Adige. Dopo il ritrovamento la MFAA le riporta a Firenze, dove vengono accolte con una festa.
PERCY SHELLEY, OZYMANDIAS
I met a traveller from an antique land
Who said: `Two vast and trunkless legs of stone
Stand in the desert. Near them, on the sand,
Half sunk, a shattered visage lies, whose frown,
And wrinkled lip, and sneer of cold command,
Tell that its sculptor well those passions read
Which yet survive, stamped on these lifeless things,
The hand that mocked them and the heart that fed.
And on the pedestal these words appear —
“My name is Ozymandias, king of kings:
Look on my works, ye Mighty, and despair!”
Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare
The lone and level sands stretch far away.’
So, the sonnet is based on a single metaphor: the ruined statue in the desert wasteland, with its arrogant face and its inscription “look on my works, ye Mighty, and despair!”. However, Ozymandias’ pride is immediately destroyed because his works have crumbled and disappeared, his civilization is gone, and all has been turned to dust by the destructive power of history.
Framing the sonnet as a story enables Shelley to add some mystery to the statue and it makes the king Ozymandias even less commanding; the distancing of the narrative serves to undermine his power over us just as completely as has the passage of time.
The statue stands for the ephemeral nature of political power and, in the same time, for the pride and hubris of all of humanity. Therefore, it is a statement about the insignificance of human being to the passage of time.
All that remains of Ozymandias is a work of art and a group of words; Shelley demonstrates that art and language long outlast the other legacies of power.
Ed è esattamente per questo che un gruppo di artisti ed esperti d’arte in parte inglese, ma in gran parte statunitensi, è venuto in Europa durante la Seconda Guerra mondiale a combattere per la nostra cultura. I Monuments Men volevano lasciare un insegnamento alle generazioni successive, ovvero che un popolo privato della sua arte è come se non fosse mai esistito.